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caso dei rom. Già perché di questo si tratta. Troppi giornaloni unti di
buonismo sprezzante in queste ore tentano di alterare la verità su quello che è
accaduto ieri sera a Primavalle,
quartiere della periferia romana. Non una macchina che è sfuggita ad un alt
della polizia ha investito nove persone, ma una macchina con a bordo tre rom è
sfuggita ad un alt della polizia e ha investito nove persone uccidendone una. La differenza è
sostanziale e si tende a nasconderla, a mascherarla. Più precisamente si tende
a coprirla con un cappotto di sciatteria che troppo spesso caratterizza le
amministrazioni di sinistra che hanno governato la Capitale.
È
giunto il momento di mettere da parte il perbenismo d’accatto citando Chiocci, è giunto il momento di tacere per
chi con estrema superbia affibbia etichette razziste a chi ha sete di
giustizia. Vi sembra troppo pretendere di sentirsi al sicuro mentre si aspetta
un autobus sotto la pensilina di una fermata?
Roma
non è una città razzista, Roma è semplicemente una città stanca. Episodi di
violenza sono all’ordine del giorno, l’escalation di reati è arrivata ad un
punto di non ritorno. Quale macabro pensiero filosofico si aggira nelle menti
di chi sostiene che i rom non siano un problema?
Il
riferimento alla Boldrini piuttosto
che al sindaco Marino non è puramente
casuale. Ma attenzione non si senta tirato in ballo qualcun altro, ad esempio Salvini. Le ruspe non sono una soluzione,
sono solo propaganda. Il punto è che nel caso dei rom, si cerca di propagandare
un principio d’integrazione che non potrà mai esistere; chi ha scelto di vivere
nell’illegalità, chi ha scelto di non rispettare le normali regole di una
civile convivenza non può vivere in questo Paese.
Siamo franchi, abbiamo enormi
difficoltà nel riconoscere l’esistenza di rom italiani; e non si tratta di un
pregiudizio razziale ma di un’oggettiva constatazione: loro accettano di avere
la cittadinanza di questo Paese, ma non l’obbligo di vivere nella legalità. Che marciscano in galera quindi, almeno quelli che
uccidono e delinquono mettendo in pericolo l’incolumità altrui.
Il lume della ragione si
infuoca pensando a quella povera donna filippina ricoperta con un telo sul
ciglio della strada; già proprio
un’appartenente a una di quelle comunità che con grande sacrificio ha saputo
integrarsi al nostro modo di vivere.
Grandi
lavoratori, che nel tempo hanno plasmato le generazioni successive affermando
alla base di vita dei loro figli delle regole imprescindibili. Su tutte
l’obbligo ad avere un’istruzione e quindi un’educazione civica.
I rom non faranno mai loro
questo modus vivendi, a maggior ragione sentendosi protetti da una classe
politica sciatta che fa del buonismo un’arma mortale.
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