È
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arrivato una volta di più il momento di dire
basta alle intercettazioni usate come mezzo di distruzione della reputazione
altrui. Si è cercato invano di regolamentare una disciplina che riguardi non
solo la sciagurata estensione dei telefoni intercettati, ma anche la loro
diffusione indiscriminata. La questione è semplice: per quale motivo se non hanno rilievo e non configurano
reato, vengono incorporate in ordinanze attingibili dai mass media e da loro
pubblicabili? I magistrati sono perfettamente consapevoli dell'uso che se ne
farà...
Appare
dunque palese che la volontà dei giudici sia quella di diffondere
la propria morale attraverso la diffusione delle intercettazioni ad hoc.
Troppo
spesso, viene accolta come ovvia la pretesa morale dei magistrati inquirenti di
andare al di là dei loro compiti di vaglio della legalità, per assurgere al
ruolo di vati della morale pubblica. Il ministro Lupi di turno, avendo leso un
presunto codice morale, è finito nell’occhio del ciclone della procura, che
insieme lo scagiona, ma lo impicca, in un gioco da “Grande fratello” , dove le
toghe esercitano non un controllo di legalità ma di moralità. Un compito
indebito, che semmai tocca al Parlamento, in libero dibattito, assumersi.
Ci auguriamo che questo ennesimo episodio (Lupi), serva per sollecitare una definitiva
regolamentazione dell’uso delle intercettazioni telefoniche,
con l’auspicio che chiunque occupi delle posizioni di potere agisca comunque in
seno ad una morale nel rispetto delle Istituzioni e dei cittadini
che rappresenta. Ma questo deve valere proprio per tutti: magistrati e
giornalisti compresi.
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