giovedì 26 marzo 2015

GIUSTIZIA - La questione delle intercettazioni, usate al di fuori di atti di indagine e consegnate ai giornali che le usano per spalmare di fango i politici sgraditi. Necessità di una legge che ci metta al pari dell'Europa e della civiltà giuridica

È
 arrivato una volta di più il momento di dire basta alle intercettazioni usate come mezzo di distruzione della reputazione altrui. Si è cercato invano di regolamentare una disciplina che riguardi non solo la sciagurata estensione dei telefoni intercettati, ma anche la loro diffusione indiscriminata. La questione è semplice: per quale motivo se non hanno rilievo e non configurano reato, vengono incorporate in ordinanze attingibili dai mass media e da loro pubblicabili? I magistrati sono perfettamente consapevoli dell'uso che se ne farà...
 
Appare dunque palese che la volontà dei giudici sia quella di diffondere la propria morale attraverso la diffusione delle intercettazioni ad hoc. 
Troppo spesso, viene accolta come ovvia la pretesa morale dei magistrati inquirenti di andare al di là dei loro compiti di vaglio della legalità, per assurgere al ruolo di vati della morale pubblica. Il ministro Lupi di turno, avendo leso un presunto codice morale, è finito nell’occhio del ciclone della procura, che insieme lo scagiona, ma lo impicca, in un gioco da “Grande fratello” , dove le toghe esercitano non un controllo di legalità ma di moralità. Un compito indebito, che semmai  tocca al Parlamento, in libero dibattito, assumersi.

Ci auguriamo che questo ennesimo episodio (Lupi), serva per sollecitare una definitiva regolamentazione dell’uso delle intercettazioni telefoniche, con l’auspicio che chiunque occupi delle posizioni di potere agisca comunque in seno  ad una  morale nel rispetto delle Istituzioni e dei cittadini che rappresenta. Ma questo deve valere proprio per tutti: magistrati e giornalisti compresi.

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