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gratitudine verso il Capo dello Stato non è più sufficiente: occorre realizzare
le riforme di cui si parla da anni”. Così esordisce Maria Elena Boschi nella lettera indirizzata
al direttore del Corriere della Sera. Al che la domanda che ci sorge è la seguente:
ma gli anni dei quali il ministro parla, sono per caso gli stessi in cui il Presidente Napolitano ha nominato
consecutivamente tre Presidenti del Consiglio? Ora comprendiamo la matrice di
tanta gratitudine, d’altronde difficilmente sarebbe diventata un ministro senza
le beghe all’interno della direzione del Pd.
L’unico passaggio veritiero e degno di
nota all’interno della sua lettera lo riscontriamo nel titolo: “…per uscire dalla
palude”. Finalmente qualcuno all’interno del governo ha avuto il coraggio
di ammettere che il riformismo del governo Renzi si
sia letteralmente impaludato, o meglio abbia trovato definitiva
collocazione nel porto delle sabbie: il Senato. Il motivo è molto semplice,
mentre alla Camera tra zuffette varie si è riusciti a votare qualche proposta
di legge, al Senato è tutto fermo e questa è la logica conseguenza di una
mancanza di numeri che non consente al governo di far approvare le riforme.
Riforme
che quando vengono approvate diventano fumo da gettare negli occhi degli italiani,
o meglio degli elettori, secondo il manuale renziano: caro ministro Boschi, è
vero il 25
maggio non voteremo più per le elezioni provinciali, ma le Province
non sono state abolite; il testo approvato, tra l’altro ricco di profili di
incostituzionalità, le ha semplicemente trasformate in organi di secondo
livello, con l’aggravio di un aumento del numero degli amministratori locali e
con la creazione di dieci città metropolitane e quindi con un ulteriore aumento
dei costi e delle paralisi burocratiche che già affliggono il nostro Paese.
Altra
storia il braccio di ferro all’interno del Pd sulla riforma del Senato. C’è stata
l’entrata a gamba tesa di Luciano Violante,
che rilasciando un’intervista sempre al Corriere della Sera si dichiara
contrario a tutta la linea del ministro Boschi. L’osservazione
iniziale ma sicuramente centrale nella sua analisi è la seguente: “Il Senato non può
essere un dopo lavoro”. Già, anche a noi risulta difficile
immaginare un Senato che non prevede indennità per i suoi componenti, sarebbe
illogico “pretendere” il prezioso contributo dei membri della “nuova assemblea
delle autonomie” senza riconoscergli neanche un rimborso spese dignitoso.
Per
di più se i nuovi senatori ricoprono già un altro incarico; come lo stesso
Violante sottolinea sarebbe inconciliabile per il Presidente di una Grande
Regione o per il sindaco di una Grande Città applicarsi con impegno su entrambi
i fronti. L’ex Presidente della Camera,
nella sua opera di ridicolizzazione del ministro per le Riforme Costituzionali,
ha toccato altri aspetti dell’insensato disegno di legge costituzionale per la
riforma del Senato, spaziando dall’elezione diretta dei suoi membri fino ai 21
nominati dal Quirinale, ma quello più importante è il seguente: “C’è poi un
eccessivo squilibrio numerico tra Camera e Senato. Il partito che vince,
infatti, otterrebbe da solo un numero di deputati superiore al doppio di tutto
il Senato. Uno squilibrio grave in occasione dell’elezione del
Presidente della Repubblica”.
Qui
la soluzione ve la diamo noi: elezione diretta del Capo dello Stato.
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