mercoledì 23 aprile 2014

Tre mosse per (non) uscire dalla palude. Violante ridicolizza il dilettantismo del governo Renzi e della Boschi



“L
a gratitudine verso il Capo dello Stato non è più sufficiente: occorre realizzare le riforme di cui si parla da anni”. Così esordisce Maria Elena Boschi nella lettera indirizzata al direttore del Corriere della Sera. Al che la domanda che ci sorge è la seguente: ma gli anni dei quali il ministro parla, sono per caso gli stessi in cui il Presidente Napolitano ha nominato consecutivamente tre Presidenti del Consiglio? Ora comprendiamo la matrice di tanta gratitudine, d’altronde difficilmente sarebbe diventata un ministro senza le beghe all’interno della direzione del Pd.
L’unico passaggio veritiero e degno di nota all’interno della sua lettera lo riscontriamo nel titolo: “…per uscire dalla palude”. Finalmente qualcuno all’interno del governo ha avuto il coraggio di ammettere che il riformismo del governo Renzi si sia letteralmente impaludato, o meglio abbia trovato definitiva collocazione nel porto delle sabbie: il Senato. Il motivo è molto semplice, mentre alla Camera tra zuffette varie si è riusciti a votare qualche proposta di legge, al Senato è tutto fermo e questa è la logica conseguenza di una mancanza di numeri che non consente al governo di far approvare le riforme.

Riforme che quando vengono approvate diventano fumo da gettare negli occhi degli italiani, o meglio degli elettori, secondo il manuale renziano: caro ministro Boschi, è vero il 25 maggio non voteremo più per le elezioni provinciali, ma le Province non sono state abolite; il testo approvato, tra l’altro ricco di profili di incostituzionalità, le ha semplicemente trasformate in organi di secondo livello, con l’aggravio di un aumento del numero degli amministratori locali e con la creazione di dieci città metropolitane e quindi con un ulteriore aumento dei costi e delle paralisi burocratiche che già affliggono il nostro Paese.

Altra storia il braccio di ferro all’interno del Pd sulla riforma del Senato. C’è stata l’entrata a gamba tesa di Luciano Violante, che rilasciando un’intervista sempre al Corriere della Sera si dichiara contrario a tutta la linea del ministro Boschi. L’osservazione iniziale ma sicuramente centrale nella sua analisi è la seguente: “Il Senato non può essere un dopo lavoro”. Già, anche a noi risulta difficile immaginare un Senato che non prevede indennità per i suoi componenti, sarebbe illogico “pretendere” il prezioso contributo dei membri della “nuova assemblea delle autonomie” senza riconoscergli neanche un rimborso spese dignitoso.

Per di più se i nuovi senatori ricoprono già un altro incarico; come lo stesso Violante sottolinea sarebbe inconciliabile per il Presidente di una Grande Regione o per il sindaco di una Grande Città applicarsi con impegno su entrambi i fronti. L’ex Presidente della Camera, nella sua opera di ridicolizzazione del ministro per le Riforme Costituzionali, ha toccato altri aspetti dell’insensato disegno di legge costituzionale per la riforma del Senato, spaziando dall’elezione diretta dei suoi membri fino ai 21 nominati dal Quirinale, ma quello più importante è il seguente: “C’è poi un eccessivo squilibrio numerico tra Camera e Senato. Il partito che vince, infatti, otterrebbe da solo un numero di deputati superiore al doppio di tutto il Senato. Uno squilibrio grave in occasione dell’elezione del Presidente della Repubblica”.

Qui la soluzione ve la diamo noi: elezione diretta del Capo dello Stato. 

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