“I
|
limiti del
mio linguaggio significano i limiti del mio mondo”,
questa espressione filosofica dell’austriaco Ludwig Wittgenstein
è perfettamente riadattabile al comico genovese, nonché fondatore del M5S Beppe
Grillo.
Ciò
che diciamo è espressione del nostro modo di essere, per cui è indice della
nostra credibilità; a nostro avviso il capo di un partito o sedicente
movimento, non può permettersi attraverso le sue parole di indurre un comportamento violento nella società civile
che rappresenta in Parlamento.
Un
po’ come quando sortì sulle bombe piazzate a Equitalia, manifestando la volontà
di capirne le ragioni oltre che condannarne solo la violenza.
Grillo il guru della comunicazione, questo si diceva di
lui; eppure sembrerebbe che riesca ad attirare l’attenzione solo
con le sue uscite bizzarre e sopra le righe.
Perché
rifiuta di utilizzare uno strumento come la televisione, quando quest’ultima è
stato a renderlo celebre con i suoi spettacoli da comico?
Ha forse paura di essere additato delle stesso
peccato di cui lui incolpava Berlusconi?
Il suo vocabolario grossolano e violento,
ha la peculiare caratteristica di essere monotematico ed incentrato sull’insulto;
andando oltre l’appartenenza politica sentendo parlare Grillo avrete
sicuramente captato epiteti e aggettivi del tipo: “quello è un ottuagenario
miracolato”, “quello è una salma”, Alzheimer”, “Cancronesi”, “faccia come il
culo” e l’ultima in ordine cronologica è stata “ebetino” rivolto al Presidente
del Consiglio.
A
cosa potrà mai portare quella che è stata definita la sua apologia dell’insulto?
Sicuramente non ad un confronto o a un dialogo, ma al contrario confinerà ancor
di più Grillo e i suoi uomini nel loro ristretto universo fatto di cattivi da
combattere nel nome di un populismo letteralmente spicciolo.
A
margine è doverosa una nota sulla sua affermazione riguardo Berlusconi
e Dell’Utri: “Non sono uomini” – prosegue – “Io al posto di
Berlusconi sarei andato in prigione.
Nessun commento:
Posta un commento