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l Pd è in bilico, sospeso tra una forte volontà
di rilancio e il definitivo tracollo politico. Renzi, una volta caduto Marino, torna a occuparsi di Roma.
Palazzo Chigi si è impossessato del futuro di Roma, almeno per i
prossimi 6/7 mesi. Dopo la nomina del commissario Tronca,
al quale ribadiamo i nostri migliori auguri, Renzi ha come obiettivo quello di
recuperare consensi in vista delle prossime elezioni.
Da sempre riottoso nell’interfacciarsi con la compagine romana del
Pd, il premier sta cercando di imporre la sua linea tra le forze della sinistra
dem, l’unica (da quando l’uomo è arrivato sulla Terra) a dominare con le sue
scorribande la scena della politica capitolina. Una scena caratterizzata da
Coop rosse, appalti e controlli mirati delle municipalizzate.
Renzi definisce dilaniato il Pd
romano, come dargli
torto. Ma nel caso in cui non se ne fosse reso conto, ci preme fargli notare
che egli stesso rappresenta il marcio e il grottesco di cui la Capitale si è
macchiata negli ultimi anni.
Lui è il segretario del
Partito democratico, e la logica delle primarie che tanto lo spaventa oggi, è
la stessa che gli ha permesso di diventare segretario e spodestare Enrico Letta da Palazzo Chigi.
Egli stesso ha contribuito con il suo anarchico dispotismo a
infuocare le rivalità tra le contrade politiche all’interno del Pd.
Più volte, anche dalle pagine de “Il Mattinale”, si era invitato Renzi in qualità di Presidente del Consiglio, a
sciogliere il Comune di Roma per infiltrazioni mafiose.
Il premier però foraggiato da
quelle stesse lotte intestine tra le contrade piddine romane, preferì, come al suo
solito, mettere la polvere sotto il tappeto, limitandosi a commissariare il solo municipio di Ostia e
consegnando di fatto le chiavi del Campidoglio a Matteo Orfini e a quella che poi sarebbe diventata la badante del sindaco
Marino, stiamo parlando del prefetto Gabrielli, meglio conosciuto oggi come l’uomo del mistero dei 101.
Orfini, dal canto suo, con grande abilità politica, diciamo da dalemiano
doc, ha sostanzialmente obbligato Marino a varare una nuova giunta ad immagine e
somiglianza del Presidente Pd, in cambio di una ferrea protezione dinanzi a
Renzi. Per poi voltargli le spalle quando la situazione fosse ormai diventata
insostenibile.
Ma il Marino indifendibile dei giorni d’oggi, lo era
anche quando gli esponenti di spicco della sua giunta speculavano sulle spalle
dei romani con i Buzzi di turno, e il sindaco, fino ad allora
considerato onesto, si dilettava nell’interpretare il ruolo del cecato.
La storia degli scontrini, per la quale Marino rischierà
seriamente una condanna per peculato e falso in atto pubblico, è solo un
insensato contorno al fianco di una sostanziosa bistecca alla fiorentina da un
chilo e più.
Renzi vuole farci credere che la caduta di Marino sia solo un nobile
atto di democrazia, ma la verità è un’altra. Le prossime amministrative saranno
un banco di prova fondamentale per la tenuta di questo governo incostituzionale
e non democraticamente eletto. Per questo il premier ha deciso di accelerare il
piano di ricucitura o meglio riqualifica del Pd.
Se su Roma la cura sarà veramente D’Alema,
la sua è una partita persa. È finito il tempo delle chiacchere, il
fiorentino sta per essere smascherato in tutta la sua inadeguatezza.
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