martedì 9 giugno 2015

MAFIA CAPITALE, QUESTIONE MORALE - È provato. La sorgente del malaffare è rossa. E il destinatario finale è il Pd, a cui la Coop pagava gli stipendi

P
artendo da questa frase di Salvatore Buzzi, “Se resta sindaco Marino ancora tre anni e mezzo, ce magniamo Roma”, aggiungendoci poi che lo stesso Buzzi nel settembre 2014 ha pagato di tasca propria buona parte degli stipendi di alcuni dipendenti del Partito democratico, la domanda sorge spontanea: come può Matteo Orfini, commissario di Roma del Pd, dichiarare che Mafia Capitale nasca nel centrodestra e sia figlia della Roma nera di alemanniana memoria? Come può cotanta stucchevole falsità e ipocrisia cercare di far nascondere un gigante dietro al proprio dito?


D’accordo il Pd renziano si regge sul nulla; è figlio della menzogna e dei giochi di palazzo, ma cercare di eludere la sentenza popolare con così tanta meschinità è alquanto ridicolo. I sondaggi parlano chiaro, il Pd a Roma dopo la deflagrazione della bomba Mafia Capitale è sceso al 17%. È colpa del centrodestra? Ebbene si, perché la sorgente del malaffare e di Mafia Capitale nello specifico è rossa. La triste pagina delle cooperative rosse non è una semplice storiella inventata, sulla falsa riga del comunista mangia bambini. Ma rappresenta invece un dannato malaccio che per anni ha logorato il sistema immunitario della città di Roma, con inevitabili ripercussioni anche su altre zone del Paese. Non è un caso che Buzzi durante l’interrogatorio con i pm, alle domande sul campo profughi di Mineo in Sicilia, si interrompa esclamando: “Su Mineo casca il governo”, esprimendo la volontà di far spegnere il registratore.

Mafia Capitale è roba del Pd, e la storia d’amore con le cooperative rosse parte da lontano; i trascorsi e le malefatte con le giunte Rutelli e Veltroni sono ormai sotto gli occhi di tutti. Esattamente come il tentativo di imporre lo stesso sistema corruttivo durante il quinquennio di Alemanno. Un risultato elettorale inaspettato quello dell’ex ministro delle Politiche Agricole e Forestali, il quale ancor prima di diventare sindaco si era fatto promotore di una chiusura verso il bizzarro mondo delle cooperative rosse, da sempre previlegiate nell’assegnazione degli appalti. Tutto questo rischiava di far saltare in aria il regno che Buzzi aveva costruito.

Da li si scatenò una vera e propria protesta che vide tra i principali protagonisti lo stesso Buzzi; una lunga serie di manifestazioni furono inscenate sotto al Campidoglio e l’obiettivo era chiaro: salvare quanto di buono ottenuto negli anni d’oro con Rutelli e Veltroni. Il sodalizio con il buon Francesco è testimoniato dalle parole al miele che Salvatore Buzzi scriveva in un numero della rivista della cooperativa “29 giugno”: “Finalmente nel dicembre 1993 arrivò la giunta Rutelli. Fino al 1993 noi avevamo rapporti con le municipalità, specialmente la V, ma con l’amministrazione comunale di Roma, con le giunte Signorello e Carraro, non eravamo mai riusciti a portare avanti progetti di integrazione sociale. Arrivò al governo della città una nuova classe dirigente, molti dei quali conosciuti direttamente nelle nostre battaglie di integrazione, altri ancora erano stati compagni di viaggio, e grandi opportunità alla nostra cooperativa furono date da molte persone.


La storia recente poi è cosa ben nota. Già i finanziamenti elargiti in campagna elettorale al sindaco Marino facevano presagire un altro periodo d’oro per Buzzi e le sue cooperative. Dei quarantaquattro arresti della seconda puntata dell’inchiesta solo 5 potrebbero essere variamente attribuibili al “centrodestra”. Non credete che sia il caso di smetterla con queste ignobili strategie di depistaggio? Noi non abbiamo paura della sentenza popolare, sappiamo chi siamo. E i cittadini sanno chi siete.

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