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’è
un altissimo rischio che dalla vicenda Ucraina, quindi dalla controversia legata alla
Crimea, tutti i principali attori ne escano sconfitti. Di getto potremmo
pensare che la Russia con il suo intervento militare in Crimea abbia
indiscutibilmente acquisito una posizione di forza rispetto all’Ucraina,
all’Europa e soprattutto agli Usa che sul piano internazionale vorrebbero
continuare a svolgere la funzione di “garante degli equilibri”; ma ci sono
alcuni elementi che rischiano di compromettere tale analisi.
È vero la Russia da sempre ha
saputo sfruttare la vulnerabilità ucraina sul piano della governance interna, creando nel periodo successivo alla caduta del muro
le condizioni per le quali il popolo ucraino, in larga parte di matrice
russofona, fosse strettamente dipendente dall’economia russa, con lo scopo di
garantire una salvaguardia della minoranza stessa ma soprattutto di mantenere
il controllo di alcune aree strategicamente nevralgiche sia sul piano
energetico, ma soprattutto militare come la Crimea. Inoltre a far da contorno c’è
una situazione
economica difficile in Ucraina, con un tasso di disoccupazione molto alto
e con la presenza di vecchie industrie a stampo sovietico ancora molto forti
che in parte impediscono alla nuova imprenditoria di emergere nel modo
migliore.
Tuttavia
bisogna fare i conti con un mondo globalizzato, senza più barriere per effetto
delle nuove tecnologie e di una stretta interconnessione tra le economie, nel
quale un atteggiamento militare di stampo novecentesco, come quello del
Presidente Putin, alla lunga rischia di metterti su un piano di debolezza.
Ed è proprio qui che si gioca
la partita dell’Europa, la quale al momento sembra rilegata ad un ruolo di
subordinazione grazie alla titolarità in campo di Usa e Russia. Per quanto
Putin possa manifestare una posizione di forza sul piano delle forniture
energetiche, ricordiamo indispensabili per soddisfare il fabbisogno di paesi
come la Germania e l’Italia, deve capire che dall’altro lato c’è un Europa che
è l’unica in grado di garantirgli un reale spirito di cooperazione con
l’Occidente che nel tempo ha permesso alla lenta e burocratizzata macchina ex
sovietica di migliorare considerevolmente il tenore di vita di una gran parte
della popolazione.
Lo scambio culturale è stato
unilaterale, è stata infatti la
Russia a beneficiare di quella ventata liberale che ha modernizzato il concetto
di business aprendo nuove frontiere per gli investimenti dei grandi magnati. Il
rischio più alto per il Cremlino è quello di ritrovarsi completamente isolato
comportando una profonda involuzione economica e sociale.
L’Europa
stessa ovviamente rischia di subire dolorose conseguenze a causa di ipotetiche
sanzioni ai danni della Russia, per questo ha l’obbligo di riacquistare una
posizione di leadership sul piano degli equilibri, se non altro a difesa di
quella componente ucraina che vede nell’annessione all’Europa un presidio della
sua indipendenza concreta dalla Russia.
Si
immagini il danno economico per paesi come l’Italia, che hanno nell’export una
linfa vitale per l’economia, rischieremmo infatti di compromettere importanti
investimenti con un crollo verticale della competitività, ad oggi fondamentale
in questo periodo di riforme per il nostro Paese. Fino ad oggi l’Europa ha agito seguendo i
diktat degli Stati Uniti, i quali indiscutibilmente trovano difficoltà
nell’instaurare un dialogo con Putin. Lo dimostrano le parole della
stessa Merkel, che ha fin da subito sposato il piano d’interventi di Obama:
escludere giustamente l’intervento militare, perseguendo la via politico-diplomatica
nel rispetto dei principi fondamentali delle Nazioni Unite.
Ora ci attendiamo un colpo di
reni dai capi di governo dei paesi europei, con la speranza che siano meno
burocrati e più statisti al fine di scongiurare scenari ancor più negativi per
la nostra cara Europa.
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