venerdì 14 marzo 2014

Crimea: per l’Europa è l’ora della verità.



C
’è un altissimo rischio che dalla vicenda Ucraina, quindi dalla controversia legata alla Crimea, tutti i principali attori ne escano sconfitti. Di getto potremmo pensare che la Russia con il suo intervento militare in Crimea abbia indiscutibilmente acquisito una posizione di forza rispetto all’Ucraina, all’Europa e soprattutto agli Usa che sul piano internazionale vorrebbero continuare a svolgere la funzione di “garante degli equilibri”; ma ci sono alcuni elementi che rischiano di compromettere tale analisi.

È vero la Russia da sempre ha saputo sfruttare la vulnerabilità ucraina sul piano della governance interna, creando nel periodo successivo alla caduta del muro le condizioni per le quali il popolo ucraino, in larga parte di matrice russofona, fosse strettamente dipendente dall’economia russa, con lo scopo di garantire una salvaguardia della minoranza stessa ma soprattutto di mantenere il controllo di alcune aree strategicamente nevralgiche sia sul piano energetico, ma soprattutto militare come la Crimea. Inoltre a far da contorno c’è una situazione economica difficile in Ucraina, con un tasso di disoccupazione molto alto e con la presenza di vecchie industrie a stampo sovietico ancora molto forti che in parte impediscono alla nuova imprenditoria di emergere nel modo migliore.

Tuttavia bisogna fare i conti con un mondo globalizzato, senza più barriere per effetto delle nuove tecnologie e di una stretta interconnessione tra le economie, nel quale un atteggiamento militare di stampo novecentesco, come quello del Presidente Putin, alla lunga rischia di metterti su un piano di debolezza.

Ed è proprio qui che si gioca la partita dell’Europa, la quale al momento sembra rilegata ad un ruolo di subordinazione grazie alla titolarità in campo di Usa e Russia.  Per quanto Putin possa manifestare una posizione di forza sul piano delle forniture energetiche, ricordiamo indispensabili per soddisfare il fabbisogno di paesi come la Germania e l’Italia, deve capire che dall’altro lato c’è un Europa che è l’unica in grado di garantirgli un reale spirito di cooperazione con l’Occidente che nel tempo ha permesso alla lenta e burocratizzata macchina ex sovietica di migliorare considerevolmente il tenore di vita di una gran parte della popolazione.

Lo scambio culturale è stato unilaterale, è stata infatti la Russia a beneficiare di quella ventata liberale che ha modernizzato il concetto di business aprendo nuove frontiere per gli investimenti dei grandi magnati. Il rischio più alto per il Cremlino è quello di ritrovarsi completamente isolato comportando una profonda involuzione economica e sociale.

L’Europa stessa ovviamente rischia di subire dolorose conseguenze a causa di ipotetiche sanzioni ai danni della Russia, per questo ha l’obbligo di riacquistare una posizione di leadership sul piano degli equilibri, se non altro a difesa di quella componente ucraina che vede nell’annessione all’Europa un presidio della sua indipendenza concreta dalla Russia.

Si immagini il danno economico per paesi come l’Italia, che hanno nell’export una linfa vitale per l’economia, rischieremmo infatti di compromettere importanti investimenti con un crollo verticale della competitività, ad oggi fondamentale in questo periodo di riforme per il nostro Paese. Fino ad oggi l’Europa ha agito seguendo i diktat degli Stati Uniti, i quali indiscutibilmente trovano difficoltà nell’instaurare un dialogo con Putin. Lo dimostrano le parole della stessa Merkel, che ha fin da subito sposato il piano d’interventi di Obama: escludere giustamente l’intervento militare, perseguendo la via politico-diplomatica nel rispetto dei principi fondamentali delle Nazioni Unite.

Ora ci attendiamo un colpo di reni dai capi di governo dei paesi europei, con la speranza che siano meno burocrati e più statisti al fine di scongiurare scenari ancor più negativi per la nostra cara Europa.

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