martedì 27 ottobre 2015

ROMA CAPITALE DEL CAOS - La scelta di Marino: Roma come L’Avana. Ma sulla richiesta di passare dalla sede istituzionale per un voto ha ragione. Intollerabile quel che il Pd sta facendo di Roma, quasi sua proprietà privata: ed è lo specchio di Renzi


P
er le vie di Roma, camminando tra gli splendori della Città Eterna, si ha ormai la reale percezione che la Capitale sia definitivamente diventata proprietà privata del Partito democratico.


Renzi e Orfini con fare meschino ignorano i problemi di Roma, anteponendo a qualsiasi cosa la loro personale crociata contro il sindaco Marino.

Dimenticano che Roma è abitata da oltre 4 milioni di cittadini e che si appresta ad ospitare il Giubileo della Misericordia.

I numeri preannunciano un flusso di circa 30 milioni di turisti, nonostante le gufate del prefetto Gabrielli.

Eppure la città è nel caos, abbandonata a se stessa, con i cantieri per le messe a punto che arrancano e i romani triturati in questa illogica guerra fratricida.

Ieri è andata in scena al Campidoglio una vera e propria farsa, messa in opera da circa un migliaio di fan del chirurgo genovese, meglio conosciuto ormai come il marziano.

“Noi siamo realisti, vogliamo l’impossibile!”. Dalle scalinate del Campidoglio fioccano addirittura citazioni del Che Guevara, dove un Marino più che galvanizzato dalla presenza dei suoi ultimi stravaganti fedelissimi, minaccia chiaramente il Pd: “Vedrete non vi deluderò!”.

Anche noi siamo realisti e sinceramente anche noi vogliamo l’impossibile. Per questo siamo consapevoli che l’esperienza Marino come sindaco di Roma sia definitivamente tramontata.
Il punto è che lo eravamo già quando nel dicembre scorso, scoppiato lo scandalo “Mafia Capitale”, avevamo a gran voce richiesto che il governo si adoperasse al fine di sciogliere per mafia il Comune.

Nessuno, Renzi in primis prese coraggio. Al contrario, il premier venne subdolamente convinto da Orfini a tirare dritto con quello che da molti è considerato il peggior sindaco della storia di Roma.

A distanza di mesi, questi poveri professionisti della politica, hanno ritenuto che l’esperienza Marino fosse terminata a fronte della squallida quanto ignobile vicenda degli scontrini.
E hanno avuto la sconsiderata pretesa di essere loro, secondo il medesimo piacimento, a staccare la spina a quest’amministrazione.

Marino però pare ribellarsi e dopo due anni e mezzo, seppur alla fine del suo percorso, pare sia riuscito finalmente ad argomentare e a porre una questione nel modo giusto; la fine del suo mandato deve essere discussa e decisa nell’Aula Giulio Cesare e non in qualche buia cantinaccia del Nazareno. La sede istituzionale è quella preposta per, eventualmente, sfiduciare Marino.

Se ne ha il coraggio, soprattutto in simbiosi con le opposizioni, il Pd stacchi la spina in sede di Consiglio, sfiduciando il proprio candidato sindaco. Il fallimento sarebbe epocale e significherebbe un definitivo tracollo.

Renzi, ma soprattutto Orfini, tremano al solo pensiero, consapevoli che Marino doveva essere silurato già nello scorso anno.
Eppure la loro sacrale superbia li ha resi ciechi di fronte ad una sciagura che si era abbattuta sulla Capitale d’Italia.
Una sciagura che ebbe inizio con quelle primarie all’acqua di rosa che tracciarono la salita del chirurgo genovese al Campidoglio.


Mai più Marino, mai più Renzi, mai più Orfini, mai più Pd.

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